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In questa musica ci metto l’anima – BresciaSet – 4 Aprile 1996

IN QUESTA MUSICA CI METTO L’ANIMA

di Anna Festa

Antonio Giacometti ha raccolto in un cd una parte della propria produzione: armonie affascinanti e suggestive, rarefatte e sospese. Ritmi policromi e imprevedibili. “Scrivo a tavolino, uso il computer… “: è la fatica della creazione.
La musica è affascinante e suggestiva, rarefatta e sospesa, o vigorosa e irruente, policronia, imprevedibile. Non è di facile ascolto, come un trallallà sanremese. Perciò sa sedurre: va “sentita”, prestando attenzione a sensazioni ed emozioni. Questo è il bello per chi, profano, si avvicina a “trame e percorsi”, cd di fresca uscita firmato da Antonio Giacometti (edito da Rugginenti è d’imminente distribuzione presso i negozi del settore).

Bresciano, classe 1957, ha raccolto nel disco una parte della propria produzione di musica da camera compresa fra il 1981 e il 1993. Settanta minuti in cui chitarre, violini, flauti, pianoforte, ed altri strumenti interagiscono fra di loro in Otto brani, che esplorano diverse strade espressive, l’ultimo dei quali, “riti di passaggio”, eseguito dall’Arcana Ensemble, è il più ricco e sfaccettato. Emblematico ed eloquente fin dal titolo: un passaggio sta ad indicare un cammino non compiuto, una strada intrapresa ma ancora da percorrere, alla ricerca di nuove tappe, nuovi momenti di conoscenza. In perfetta linea con la personalità poliedrica e vulcanica di Antonio Giacometti. Cordiale ed espansivo, è un eclettico per natura e cultura, voracemente curioso (“Non ne ho mai abbastanza di leggere, di studiare”).

Nella sterminata libreria di Giacometti e famiglia (ecco sul pianoforte i ritratti della moglie e del figlio, un bimbo di sette anni) sono allineati in rigoroso elenco alfabetico Calvino e De Carlo, Becket e Kundera, Eco e Bòll…. “Come sono diventato compositore? È stato un caso – afferma Giacometti sorridendo – se no avrei fatto lo scrittore, o il pittore… E racconta di come abbia sempre avuto il grande bisogno di esprimersi, fin da bambino, quando con gli amici del quartiere organizzava spettacoli di burattini, o quando, fra i 7 e gli 11 anni, scriveva storie fantastiche. Fu l’insegnate di musica della scuola media, poi, a suggerire a lui ed ai suoi genitori la strada.
Ed ecco il liceo classico, il Conservatorio a Milano, l’università (prima matematica, poi lettere con indirizzo pedagogico) presa e lasciata. Fra l’84 e l’86, fresco di diploma, si ritrovò docente al Conservatorio di Brescia (“Ripresi la cattedra del mio insegnate di dieci anni prima”: emozione e soddisfazione), poi insegnò a Milano, e dall’88 è in forze alla sezione staccata del Conservatorio bresciano di Darfo. Giacometti ora ha già alle spalle opere segnalate o premiate in diciotto concorsi nazionali ed internazionali, esecuzioni in Italia e all’estero, ed un interessante lavoro di didattica musicale di base, iniziato nel 1984: ecco le collaborazioni con riviste specializzate, il libro “Educazione al suono e alla musica per la scuola elementare” scritto assieme allo psicopedagogista Vaccaroni, i contributi all’interno della Società Italiana per l’Educazione Musicale e della Società Italiana di Analisi Musicale.

Antonio Giacometti crede fermamente in ciò che fa, coerentemente convinto del valore “educativo” della musica. Anche in senso didattico: “Ho rinunciato a molto, in favore della didattica musicale”. Per esempio? “A fare il manager di me stesso”. Si ricordano gli anni febbrili in cui si faceva musica nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole… E poi? Dove sono andati a finire gli artisti? “Dove son sempre stati. Troppo spesso isolandosi dal mondo esterno. Invece è importante prendere atto dei cambiamenti, e superare la schizofrenia di chi concepisce in forma rinunciataria l’impegno all’interno della scuola”. Ma gli spazi destinati alla musica sono esigui. Basta pensare al rapporto fra mass media e musica…. “È lo specchio di ciò che avviene nella società a livello generale. La musica è considerata un fatto spettacolare, non educativo”. Restano sul tappeto molti problemi: la riforma della didattica musicale, per esempio.

Ed un altro, sul quale Giacometti s’accalora: “È il problema del musicista in Italia, il ritardo nel suo identificarsi come educatore, avendo coscienza del sociale”. Guai a rinchiudersi in una torre eburnea, dunque… Nemmeno nella vita quotidiana… “Indubbiamente ho sottoposto a dei sacrifici mia moglie e mio figlio, ma ho sempre conservato spazi per la socialità. Del resto ho decine e decine di allievi… Certo, a volte penso che sarebbe bello avere tutto un giorno libero per scrivere. Ma è meglio vivere nel mondo. Lascio che le cose si sedimentino da sole… E poi mi alzo tutte le mattine alle 5, e fino alle 8 compongo. Scrivo a tavolino, uso il computer…”. Nulla a che vedere con la visione stereotipata dell’atto creativo, inteso ora come momento di furore romantico, ora come scintilla estemporanea… Dietro la creazione (che non nasce dal nulla: Giacometti allinea fra i suoi padri Berio, Bartòk, Schumann…) c’è un lavoro lungo, attento.. “Bisogna avere la capacità di accompagnare l’ascoltatore su un terreno che gli è proprio, costruire una narrazione in modo che egli trovi le chiavi per leggere, e poi dargli un dato imprevedibile… In Giacometti è molto forte la tensione comunicativa, perciò afferma che “il problema è di creare una dialettica, in un pezzo, se no non esiste l’emozione”. Musica come emozione? “Io mi sono messo in una terra di confine. La mia produzione non è avanguardia in senso restrittivo e dogmatico. Il modo astratto, logicizzato dalla musica contemporanea, ad un certo punto mi veniva facile, non ci soffrivo più sopra, in senso creativo”. Ricerca, dunque. Come se il suo lavoro andasse a scavare nell’anima essenziale del suono. O no? “Sono il primo a sostenere che ci sono pro e contro nell’utilizzo dei comportamenti tipici di altre culture, ma ho cominciato ad ascoltare musica extraeuropea e, senza per questo far musica etnica, vorrei superare l’eccesso di astrazione del linguaggio contemporaneo nostro, che rischia l’appiattimento, vorrei vivificarlo…”.
Perciò crede nella vita e nella musica, e dice: “La salvezza sta nell’arte”.

BresciaSet 4 Aprile 1996