Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Il Flauto e la Penna – Mario Caroli – 1992

IL FLAUTO E LA PENNA
Suggestioni letterarie nel nuovo flautismo

di Mario Caroli

“… Se per l’ìmmoto e languido
deliquio, soffocato di calori
lotta il fresco mattutino, acqua non mormora
che non versi il mio flauto sul boschetto
imperlato d’accordi…”
(Stephane Mallarmé)

Il flauto è lo strumento dei meandri dell’uomo e della sua storia. La letteratura e la poesia sono testimonianza della memoria dell’uomo e dell’umano sentire. Si parla del flauto nelle antiche pagine degli autori greci che immortalarono Pan, dio del vento d’estate, e Apollo, virtuoso della lira; il flauto ha ispirato pagine di rara bellezza nella letteratura di tutti i tempi.
La musica ispirata alla letteratura trova nel flauto la sua espressione immediata; il repertorio flautistico, soprattutto contemporaneo, annovera una folta schiera di brani ispirati alla letteratura sia italiana che straniera, richiedendo, pertanto, un maggiore approfondimento rispetto alla sola cura dell’esecuzione tecnica. Una composizione ispirata, in maniera programmatica o soltanto come pura suggestione, ad altre opere d’arte (non solo letterarie ma anche figurative, si pensi ai Carceri d’invenzione di Brian Ferneyhough, ispirati alle omonime incisioni di Gianbattista Piranesi), sottende necessariamente un approfondimento di queste ultime, al fine di comprendere le ragioni profonde del compositore, paragonando la sua meteora creativa con quella dell’ispiratore. Vediamo alcuni casi significativi.

Il compositore cremonese Gabrio Taglietti è affascinato dalla letteratura straniera. Alfred Jarry, scrittore francese attivo, al fianco di Baudelaire e Verlaine, nella Parigi fin-de-siècle, ha ispirato il titolo e lo spirito di Canzoni delle libellule elettriche (per flauto solo, 1985 Ed. Ricordi). Il brano, secondo le parole dello stesso autore, “allude al carattere di isterica e volante leggerezza che lo pervade, alla danzante ironia che lo percorre da cima a fondo”. Seguendo forse quelli che erano i dettami poetici di Jarry, Taglietti dà forma a idee estremamente asciutte: nessun surplus è concesso, e la chiarezza formale diventa regola, consentendo di evitare magistralmente il rischio di qualsiasi tipo di inquinamento verbale e verboso. Tecnicamente il pezzo presenta non pochi motivi di interesse per lo strumentista curioso; il volo isterico e irregolare di queste “libellule elettriche” è reso mediante interpunzioni ritmiche, timbriche e agogiche irregolari. Estremamente equilibrato lo spazio riservato alle nuove tecniche (soffi, soffio-suono, tremoli di armonici, pizzicati afoni, frullato, glissati d’imboccatura) e alla tecnica tradizionale che presenta dei passi alquanto complessi. Il risultato è un brano estremamente gradevole e di sicura presa sull’ascoltatore, grazie all’aderenza e alla coerenza tra l’intento e la riuscita realizzazione compositiva.

Il compositore statunitense Elliott Carter, fortemente affascinato dalla cultura europea e italiana nella fattispecie, dopo aver reso omaggio a Calvino con la composizione intitolata Con leggerezza pensosa si ispira al Petrarca con il brano Scrivo in vento (1991, Ed. Boosey & Hawkes). Il carattere asimmetrico e contrastante del brano prende spunto dalla tecnica degli ossimori, che informa di sé l’intero testo del Sonetto 212 tratto dal Canzoniere del poeta aretino. Come ci spiega la stesso Carter, nell’introduzione del brano “(…) Scrivo in vento prende il suo titolo da un poema di Petrarca (…) e usa il flauto per presentare idee e registri musicali contrastanti che si ispirano alla natura paradossale del poema”. In assoluta coerenza con questo assunto iniziale, il compositore statunitense ci propone un brano che si fonda su due idee-base: la prima, caratterizzata dalla dicitura “espressivo, tranquillo”, snoda il suo percorso melodico prevalentemente nell’ottava medio-grave; la seconda idea “Marcatissimo, violento”, si sviluppa nell’estremo registro acuto. Vero e proprio esempio di retorica musicale, questa composizione presenta piccoli ricorsi alle nuove tecniche (solo frullato e pochi suoni multipli), mentre presenta notevoli difficoltà di tecnica tradizionale: intonazione e, soprattutto, omogeneità in tutta l’estensione che va dal si grave al re diesis sovracuto. Il tutto per rendere omaggio a un grande della cultura europea, insuperabile maestro del contrasto e del paradosso nella poesia, che volle definire ossimoricamente la musica cantando “La musica … E nulla stringo e tutto il mondo abbraccio”. (Un’incisone di Scrivo in vento si trova sul CD La flûte traversière CD FT 9304-6. Flauto Kathleen Chastain).

Il compositore leccese Armando Gentilucci è, al contrario di Carter, suggestionato dalla letteratura statunitense del secolo scorso. Moby Dick di Herman Melville, con i suoi spazi sconfinati, i mari, gli oceani, i ghiacci, suggerisce la stesura di In acque solitarie (per flauto solo, 1986, Ed. Ricordi), che è, come ci dice il sottotitolo stesso, una vera e propria “glossa a margine di Moby Dick”. La complessità caleidoscopica di quest’opera letteraria ben si congiunge alla calda interiorità della poetica di Gentilucci. Vorrei qui ricordare come, dall’intimo arrovellarsi, dall’affannosa ricerca per “trovar casa” di Rainer Maria Rilke, nel 1981, Gentilucci aveva tratto ispirazione per un altro brano flautistico Oh, voce che mi sfuggi (1981, Ed. Ricordi), il cui titolo richiama i temi brucianti della lirica rilkiana: la morte di Dio, l’inconsistenza dell’umano sentire e dell’amore (nella Seconda elegia si legge: “Ma noi, nel sentire, esaliamo; ah, noi ci dissolviamo in respiro”). Vicina a questa esalazione deI corpo e dello spirito, è anche quella di Mosé che, nell’incompiuta Mosé und Aron di Schönberg, esclama: “Oh parola, parola che mi manchi!”. Purtroppo, sul piano tecnico Oh, voce che mi sfuggi si qualifica come un brano pressoché privo di pertinenza strumentale: la notevole lunghezza della composizione viene appesantita da una scrittura quasi totalmente costituita da acciaccature, creando degli evidenti problemi di resistenza; inoltre, vi sono dei tremoli francamente ineseguibili che rendono ancora più problematica l’eventuale esecuzione del pezzo. Il flauto si contorce in un’incandescente girandola di suono, quasi a rendere plasticamente il disagio di esserci o l’anelito pauroso al compiersi. All’interno di In acque solitarie, brano di voci lontane, poesia timbrica e lirica scolorata, questo intimo rodersi e invocare aiuto è certamente meno rovente; il flauto produce in quest’opera melodie senza tempo e, forse, senza spazio, assurgendo a voce di un titanismo eroico.

AI 1984 risale una composizione di Antonio Giacometti per flauto solo, Der Umriss. Il titolo, che significa “Il contorno”, è quello di una poesia tratta dalla raccolta di Nelly Sachs premio Nobel nel 1966, intitolata Fahrt ins Staublose ossia Oltre la polvere. L’utilizzo di particolari nuove tecniche permette all’autore di plasmare un vero e proprio commento musicale al testo poetico, che viene ora declamato, ora cantato dallo stesso interprete. Le parole chiave della poetica sachsiana (morte, dolore, notte, ombra) vengono messe accuratamente in evidenza da Giacometti proprio mediante l’uso del parlato. Sul piano tecnico questa composizione si presenta fortemente complessa proprio per l’uso della vasta gamma di nuove tecniche utilizzate (vari tipi di suoni multipli, soffi variamente articolati, frullato, voce-suono, declamazione, whistle-tones ad imboccatura interna, glissati, tremoli di armonici trattati anche in whistle-tones ad imboccatura interna, articolazioni varie, pizzicati, colpi di chiave, altezze non temperate e altro ancora) e per i diversi modi di scansione metrica, ora cronometrica, ora più vaga ma sempre sensibile di un tactus. “E la caduta avviene per poter risalire” (Libro dello Zohar): utilizzando questa frase la Sachs intese inviare il suo messaggio che sofferenza e morte sono la via necessaria alla trasformazione secondo la circolarità di un ritorno alla fonte. Seguendo sicuramente questo ideale, Giacometti, attraverso tutto il suo percorso, perviene a un vero ritorno alla fonte sublimando il brano in un “respiro lento e profondo nel flauto”: dall’alchimia verbale come equivalente alla metamorfosi cosmica, fino all’assorbimento nel respiro, elemento primo, fonte della nascita e della morte del suono. La vicenda melodica si inarca e scompare, fino ad ammutolire nei respiri del flautista. Vera propria trasposizione musicale dell’ultimo verso della poesia “Ora, mio adorato, mi bevi le parole dal respiro finché ammutolisco”.
(Di grande suggestione l’interpretazione di Annamaria Morini incisa su CD Edipan CD 3008).

Questa brevissima panoramica su alcune composizioni flautistiche ispirate alla letteratura e alla poesia aveva anche lo scopo, leggermente più occulto, di mostrare la potenza della musica quale vero linguaggio universale capace di farsi parola, cantare la parola, suonare la parola, esprimere meglio la parola. A tal proposito vorrei concludere con una frase significativa tratta da Lo spirito dell’utopia di Bloch: “Il suono, pur rimanendo solo allusivo e ancora inautentico, non si riduce ad un segno e il suo linguaggio enigmatico non vuole nasconderci nulla che sia già risolto sul piano ultraterreno (…). Ma giunge un tempo in cui il suono si esprime e parla (…), in cui i nuovi musicisti precederanno i nuovi profeti: è alla musica che vogliamo destinare il primato di una realtà altrimenti indicibile (…). La musica ci conduce nella calda e profonda Camera gotica dell’intimo che risplende solo in mezzo all’oscura tenebra, l’unica da cui può ancora giungere luce che deve distruggere e disperdere il disordine, la potenza infeconda del mezzo esistente (…)”.

SYRINX