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Passaros de uma Amazônia desconhecida – 2016

Fosca Briante, ottavino
Tiziano Cantoni, Flauto

“Passaros de uma Amazônia desconhecida” (“Uccelli di una sconosciuta Amazonia”) chiude idealmente e materialmente il trittico brasiliano, che negli anni 2013-2016 ho voluto regalare al Festival “Risuonanze”, iniziativa meritoria, di questi tempi, per qualità e aperture intelligenti, ai cui ideatori ed organizzatori va tutta la mia ammirazione e riconoscenza.

Il caso ha voluto che dalla prima formazione cameristica propostami nel 2013, tutta spostata nei timbri scuri e gravi di trombone, violoncello e contrabbasso (Yorimá, a linha dos pretos velhos, strutturato intorno alla figura dei saggi anziani di colore, evocati nei riti del Candomblé nordestino), si giungesse oggi alle altezze vertiginose di un duo flauto ottavino, che ho volutamente spinto ai suoi estremi sovracuti, servendomi di un motivo ispiratore tanto timbricamente intrigante quanto abusato: gli uccelli. E non parlo solo di un progetto musicale, che, dalla notte dei tempi fino ai giorni nostri, ha occupato le menti di innumerevoli compositori, oscillando fra l’imitazione schietta e l’evocazione naturalistica e la costruzione strutturale astratta, ma anche di una certa autoreferenzialità che, nelle premesse, se non nei modi e nei risultati musicali, lega questa composizione ad un mio brano di quasi vent’anni fa per due flauti e pianoforte (African Birds – Cries from a Virtual Forest del 1997). A parte la non trascurabile assenza dello strumento polifonico di sostegno, capace di una netta definizione delle superfici armoniche, in questo nuovo pezzo solo intuibili attraverso la rapidità degli intrecci diastematici, la vera differenza tecnica tra le due composizioni consiste proprio nei materiali di partenza, allora pure pentafonie, esafonie ed eptafonie africane, ricavate dallo studio meticoloso di testi fondamentali come “The Music of Africa” di Kwabena ‘Nketia e articolate su complesse poliritmie della tribù Ewe del Ghana, ora imitazione il più possibile fedele di otto uccelli amazzonici, i cui canti affascinanti e straordinariamente sovracuti si possono ascoltare nel web: Azulão, Tico-Tico Rei, Tuím, Curió, Trinca-ferro, Cardeal, Caboclinho, Urutau, nomi già dal suono evocativi della foresta amazzonica, immensa e sconosciuta, soprattutto a me, che fino là, nei miei viaggi in Brasile, ancora non ci sono arrivato. E anche i ritmi chiamati a sostenere lo sviluppo di questa sorta di “Grundgestalten” sono tutti autenticamente amazzonici, grazie alla gentilezza squisita del giovanissimo percussionista di Manaus Ygor Saunier, che mi ha concesso in anteprima i risultati di una sua ricerca, ora inseriti nella recentissima pubblicazione “Tambores da Amazônia. Ritmos musicais do Norte do Brasil”. Tre sole le tipologie (Batuque, Marabaixo e Carimbó), variamente disposte e articolate, a garantire una spinta energetica e vitale, ma anche un po- ossessiva, che s’inciampa nei frequenti ritorni, aperiodici e più o meno variati, delle cheep-imitation iniziali e s’interrompe negli altrettanto aperiodici e irregolari silenzi, salvifici per i polmoni degli esecutori ed insieme momenti di riecheggiamento dei suoni ancora presenti nell’aria e attesa tensiva dell’epifania sonora di presenze implicite, ma invisibili.

A  compattare la trama astratta, che lega i fili sparsi di questa ornitologia da camera virtuale, un processo formale assai semplice, fatto come si diceva di ritorni e di allusioni e cementato dal collegamento fra nove superfici armoniche molto simili, quanto a contenuto intervallare, e di una tale neutralità emotiva da non distogliere mai l’attenzione dell’ascoltatore dagli stridii e dall’imprevedibilità ritmica e spaziale, che costituiscono la vera essenza, il nucleo semantico della composizione.

Infine c’è il virtuosismo implicito (la gara dei fiati lunghi) ed esplicito, con le sue acrobazie a mille all’ora, gli staccati, i salti di regione, le poliritmie destabilizzanti, i cambi dinamici repentini. Insomma, come gettarsi  da una rupe di duecento metri d’altezza senza telone.

Sarebbe auspicabile che i due esecutori si collocassero ai due estremi della sala da concerto (se è un teatro lirico in platea) e suonassero da quelle posizioni fino alla sezione finale A’, durante la quale dovrebbero spostarsi e camminare in direzioni opposte, suonando a memoria le poche battute previste.

Buon lavoro e, soprattutto, buon divertimento!

Antonio Giacometti