In memoria di Pier Paolo Pasolini, Concerto per voci, strumenti ed elaborazioni audio in occasione del 30° anniversario della morte dello scrittore e intellettuale italiano, scritto in collaborazione con l’ex allievo mauro Montalbetti e con la partecipazione del trio Giuliani (Vincenzo Mastropirro, flauti; Gianbattista Ciliberti, clarinetti e Sax, Antonino Maddonni, chitarre. Testi di Giovanni Peli.
In ricordo di Pier Paolo Pasolini è un libretto per musica. E’ un testo al servizio della musica. E per musica si deve intendere musica contemporanea. Genere musicale sfuggente e dalle caratteristiche spesso misteriose alle orecchie della maggior parte delle persone che non abbiano con essa un rapporto tecnico-professionale. Musica lontana dai più. Musica peraltro che Pasolini sembra ignorare. Pasolini che ci ha dato testi per canzoni, ed interventi sui settori più disparati della cultura, lui stesso uomo leonardesco dedito con scandalosa dedizione, passione e competenza a moltissime discipline, Pasolini dilettante di genio, come lo definì Contini vedendolo cimentarsi anche nella linguistica, Pasolini non parla e non usa la musica contemporanea, nonstante nei film dimostri una buona cultura musicale. Eppure erano gli anni di Nono, Donatoni, Maderna, Berio. Compositori che peraltro si interessavano e collaboravano con letterati, basti pensare alla collaborazione Berio-Sanguineti. Pasolini non condivise la strada intrapresa dall’avanguardia né musicale, né letteraria. Praticare la musica contemporanea allora, secondo me, significava illudersi di poter creare un nuovo linguaggio universale, oltre la parola ed il significato, e che tuttavia parlasse in profondità a tutti gli uomini; del resto la musica ha sempre comunicato senza dire. Ed ha fatto pensare più e più scuole di poeti alla ricerca di una lingua pura, nuova, vicina, fraterna, come chiamò Pascoli quella lingua inesistente, ma comunicativa che lui inventò per una traduzione di Orfano. Sappiamo che anche Pasolini è sempre stato alla ricerca di una lingua analoga. La sua lingua pura, agli esordi, è il friulano di Casarsa. Ma a Pasolini non basta la lingua pura, la lingua pura deve essere il mezzo comunicativo di un popolo puro, il frutto di una terra pura. Casarsa. Ma Casarsa non vuole più Pasolini che giungerà a Roma. A Roma si innamora della presunta purezza della lingua dialettale e soprattutto della gente che la parla, il sotto-proletariato urbano, il Terzo mondo. Ma la lingua è una sola, Pasolini in quel testamento prematuro che è la Divina Mimesis, lo dice chiaro: Conosci la lingua colta, conosci la lingua volgare, come potrei farne uso? Sono un’unica lingua: la lingua dell’odio. Pasolini è l’uomo della Trilogia della vita; voleva essere l’uomo della Trilogia della morte, ma non ebbe tempo, o voglia, di compiere quell’ultima grande opera cinematografica lasciandoci nell’odio del solo primo capitolo: Salò.
I sottoproletari ragionano come i borghesi e la lingua del volgo non è pura. Allora Pasolini crederà nell’Africa senza trovare nemmeno lì il paradiso perduto per sempre. La lingua è una sola, ed è la lingua dell’odio. Forse Pasolini non voleva accettare l’esistenza (o la possibilità) di una lingua astratta, slegata dalla gente, dai cuori, dal sesso, dagli odori? Questa lingua è la musica? Non voleva considerare che questa lingua tanto cercata fosse al di là del linguaggio verbale e della possibilità di dire chiaramente qualcosa. Forse considerava un controsenso usare la lingua come se fosse musica. Un giochetto intellettualistico. Per questo, forse, Pasolini poeta si arresta si perde e si contorce su se stesso, quando il mondo letterario comincia a chiudere le porte a quel linguaggio neoclassico (ma alla Strawinsky) col quale Pasolini ci ha dato forse i suoi versi migliori. Pasolini diventa il poeta della Charta sporca.
Nel mio testo la donna è una figura materna, ma è anche la possibilità di ritrovare la madre (non solo nei meandri della memoria) la possibilità di ritrovare il nido, il paradiso, la purezza, al di là del dire, nel silenzio. La figura materna viene restaurata nella memoria e contribuisce a creare quella disponibilità intellettuale che permette di trovare una nuova guida spirituale. La guida ci aspetta nel silenzio; nel silenzio delle parole, perché si arriva a quella verità, a quella luce dove non è richiesto che di tacere; ma qui c’è davvero silenzio? Dove terminano le parole forse comincia la musica. Alla fine del viaggio c’è la luce, una nuova consapevolezza, una nuova guida.